Roberto Rossellini

ROMA CITTÀ APERTA

"Roma città aperta è il film della 'paura': della paura di tutti, ma soprattutto della mia. Anch'io ho dovuto nascondermi, anch'io sono fuggito, anch'io ho avuto amici che sono stati catturati o uccisi. Paura vera: con trentaquattro chili di meno, forse per fame, forse per quel terrore che in Città aperta ho descritto..."







1. Com'è nato il film


Siamo nel settembre 1944. Roma è stata liberata dai nazi fascisti da appena tre mesi. Inizialmente il progetto consisteva nella creazione di due episodi rispettivamente chiamati Ieri e Domani.

L'idea per il soggetto del primo episodio, ribattezzato Ieri, viene ripresa dal protagonista de La disfatta di Satana, opera di Alberto Consiglio, ispirato alla figura di don Pietro Pappagallo, trucidato dai nazifascisti alle Fosse Ardeatine il 24 marzo 1944.

Un secondo soggetto, attualmente perduto, era di Ivo Perilli, Turi Vasile (non accreditato) e Roberto Rossellini, ma pare che non ne sia rimasta traccia nella sceneggiatura. In seguito, il progetto di strutturare il film in due episodi fu abbandonato e si decise di inglobare in un unico film le storie di più personaggi, le cui vicende si intrecciano con il periodo dell'occupazione nazista. Rossellini utilizza il soggetto di Consiglio per il personaggio di Don Pietro Pellegrini, ispirato anche alla figura di Giuseppe Morosini, altro sacerdote morto nel 1944 per mano dei nazisti.




2. Trama


La storia si apre in seguito dell'armistizio di Cassibile. L'Italia è divisa in due: gli Alleati sbarcati in Sicilia avanzano verso nord, mentre a Roma la Resistenza si sta organizzando. La pellicola inizia con una retata da parte della polizia nazi-fascista a casa del militante comunista Giorgio Manfredi, il quale, fuggendo, si rifugia dall'amico Francesco, un tipografo antifascista, futuro marito di Pina, una madre vedova. Francesco viene arrestato e portato via da un camion tedesco, che Pina insegue urlando e trovando la morte causata dai mitra nazisti. Francesco riesce a fuggire e arifugiarsi a casa di Marina, amica della sorella di Pina, e in passato legata sentimentalmente a Manfredi. Tra i due ex amanti nascono dei dissapori tanto che Marina denuncerà Manfredi ad un'agente della Gestapo in cambio di droga. Manfredi viene quindi arrestato insieme a Don Pietro, parroco locale legato alla Resistenza e conosciuto per i suoi aiuti ai partigiani. Manfredi subisce terribili torture e muore mentre don Pietro viene fucilato davanti agli occhi dei bambini della parrocchia. Marina cade sempre più nell'immoralità ma Francesco e i suoi ragazzi continueranno la lotta.
Un elemento che contraddistingue il film neorealista è la scelta di attori provenienti dal popolo. Dopo la Seconda guerra mondiale, dopo la fine di tutte le certezze, dopo l'indifferenza degli alti poteri, l'uomo del dopoguerra vuole concentrare la propria attenzione verso coloro che hanno vissuto sulla propria pelle la paura, il dolore e la morte: si dà voce a chi quotidianamente non può averla. Volgendo lo sguardo al passato si può trovare un collegamento con la letteratura del secondo Ottocento. Realizzata l'unità d'Italia scrittori, intellettuali e giornalisti iniziano ad interessarsi alle misere condizioni del popolo, soprattutto meridionale. Al di là delle innumerevoli inchieste sociali, gli scrittori danno vita a romanzi in cui i protagonisti sono gli appartenenti alla classi sociali più povere. Si pensi ad esempio a Giovanni Verga, le cui opere vengono pubblicate a puntate nei giornali. Questo potente strumento di informazione, gradualmente, raggiunge i ceti medi contribuendo ad un innalzamento dell'alfabetizzazione: gli uomini del popolo, dunque, diventano attori ma anche spettatori.

Lo stesso si può dire con Roma città aperta: i suoi protagonisti possono uscire dalla schermo e sedersi accanto agli spettatori. Essi fanno parte del popolo, ne sono figli e portavoce. Il regista cerca di restituirci il contatto vitale con la realtà e lo fa scegliendo determinati attori, o meglio "non-attori". Il film, di conseguenza, non si configura più come una lente deformante, ma si presenta come la proiezione de "l'anima collettiva", e il pubblico vi partecipa in piena totalità.


3. Galleria immagini



4. Personaggi

I personaggi di Rossellini sono persone del popolo, dunque attori non professionisti. Eppure, Roma città aperta è stato per alcuni di loro il punto di partenza della loro carriera. È questo il caso di Anna Magnani e Aldo Fabrizi, ma il loro è un caso anomalo; infatti la successiva poetica dei registi neorealisti punterà alla perfetta assimilazione tra realtà e finzione narrativa. Quello che i registi neorealisti chiedono agli attori e di identificarsi nei loro personaggi. Lo schermo cinematografico non rappresenta più una distanza ma un punto di incontro per cercare di far cadere tutte le convenzioni del cinema tradizionale.

L'ingegner Manfredi, sovversivo comunista schedato dalla questura, e il prete della parrocchia di san Clemente rappresentano le due principali componenti ideologiche della resistenza, mentre Francesco e Pina e gli inquilini del rione rappresentano il mondo popolare che ha aderito all'antifascismo in modo più istintivo e immediato, esprimendo a volte una scelta morale più che una coscienza politica.

4.1 Sora Pina

La sora Pina, interpretata da Anna Magnani, è un personaggio nuovo: non più una donna che utilizza solo un linguaggio di tipo sentimentale e amoroso, ma una donna che parla delle difficoltà della vita quotidiana, di lotta contro il fascismo e di disoccupazione. Infatti ella, nella condizione di donna-madre, si batte per la propria sopravvivenza e quella di suo figlio Marcello.

L'utilizzo naturale della gesticolazione, la mancanza di autocontrollo, il forte accento romanesco, la goffaggine del muoversi, sono aspetti considerati, fino ad allora, negativi, ma saranno per Anna Magnani i suoi punti di forza.

«Facevo la rivista, Amidei venne in camerino e mi lesse la storia. Era come sentirsi raccontare la propria vita: quelle cose le conoscevo, quelle angosce le avevo patite. Potevo rifiutare? E poi, diciamo la verità: per la prima volta qualcuno mi offriva il personaggio sempre sognato. Sino allora l'unica parte drammatica ero riuscita a conquistarmela nel film La Cieca di Sorrento. Continuavo a chiedere, anche a Goffrdo Alessandrini quando era ancora mio marito: ma non si potrebbe fare un film vero, umano, con una donna qualsiasi come protagonista? Gli altri, tutti, mi ridevano in faccia. Amidei, Rossellini e Fellini avevano avuto la mia stessa idea: fu un matrimonio felice».

«La scena più straordinaria del film è quella della mia morte. A far la parte dei nazisti erano veri tedeschi, reclutati in un campo di concentramento. Le comparse erano donne del casamento popolare in cui si girava. Un autentica mitragliatrice sparava, a salve ma con un suono orribilmente realistico. Non facemmo neppure una prova. Non c'era bisogno di recitare: sulle facce delle comparse vidi lo stesso terrore pallido con cui avevano assistito alle retate dei tedeschi che portavano via i loro uomini...merito di quello sciagurato di Rossellini, che è un genio»[1].



4.2 Don Pietro

Il personaggio Di don Pietro Pellegrini rappresenta per Aldo Fabrizi il primo confronto con un ruolo drammatico. Don Pietro è un prete che vive con intensità la sua missione, ma è anche un personaggio concreto immerso nella realtà popolare, che reagisce istintivamente alle situazioni, a volte con modi che producono un effetto comico. Ispirato alle figure di Don Morosini e Pappagallo, Don Pietro aiuta i partigiani e chiunque lotti per la resistenza.

La sua figura è resa importante anche dalla presenza dei bambini. Questi ultimi sono presenti in più di una scena: mentre giocano a calcio nel giardino della parrocchia e nel finale, dove assistono alla fucilazione del parroco. Subito dopo l'esecuzione i bambini, a testa bassa, mano nella mano, si incamminano verso la città. In un presente di distruzione, essi rappresentano la parte veramente innocente della società, in cui è riposta la speranza per intraprendere nuove strade per il futuro. Rossellini intende calare gli spettatori del film all'interno dello sguardo dei bambini: anche i loro occhi hanno visto le atrocità della guerra, ne sono anch'essi testimoni e dalle macerie cercano di rialzarsi. La bellezza e soprattutto l'importanza di Roma città aperta sta nel far rivivere, anche allo spettatore moderno che non ha vissuto direttamente la guerra, quei momenti di devastazione e di perdita.






[1] Intervista a Anna Magnani per il sito: https://www.ricordandoannamagnani.it/blog/roma-citta-aperta-film/

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